www.cresmedaily.it - Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

Quanto vale la piccola golden rule inserita nella riforma del Patto di stabilità? L’Italia parte dai 32 miliardi di cofinanziamento ai fondi UE di coesione

A quanto potrebbe ammontare per l'Italia la piccola golden rule contenuta nell'intesa preliminare sulla riforma del Patto di stabilità? Difficile dirlo oggi con precisione. La regola per ora si limita a dire che saranno esclusi dal calcolo della spesa totale (e dal deficit) i cofinanziamenti nazionali di piani finanziati da fondi Ue. Servirà un maggiore dettaglio per capire cosa sia dentro e cosa fuori. Per l'Italia dovrebbero rientrare i 32,3 miliardi di cofinanziamento sui 75,1 miliardi totali dei programmi finanziati con i fondi Ue per la politica di coesione territoriale e sociale.

Bisognerà anzitutto capire se fra le spese escluse saranno compresi i molti programmi e interventi infrastrutturali finanziati dall’Italia insieme all’Unione europea e spesso a terzi soggetti. L’esempio più eclatante riguarda le opere ricomprese nella rete TEN-T, a partire dalla Torino-Lione e dal traforo ferroviario del Brennero. Queste e altre opere sono finanziate dal CEF (Connecting Europe Facility). Non sembrerebbero esserci ragioni di escludere questi interventi, considerando la ratio della norma, che punta a incentivare investimenti certificati da Bruxelles. Bisognerà però attendere la norma espressamente compiuta.

Al momento c’è soltanto un accordo preliminare, siglato fra i negoziatori del Consiglio UE e quelli del Parlamento europeo. Il testo dell’accordo va ora sottoposto all’Ecofin e poi alle plenarie dei due organi. La novità principale dell’intesa è stata annunciata da un comunicato del Parlamento secondo cui “le spese nazionali per il cofinanziamento di programmi finanziati da fondi Ue saranno escluse dalle spese del Governo, creando maggiori incentivi a investire”.

Un colpo d’ala perché, in tema di investimenti, finora la proposta non era stata particolarmente generosa, limitandosi ad affermare che i Paesi membri dovranno spiegare nei loro piani a medio termine “come gli investimenti saranno realizzati nelle aree di priorità UE”. Che sono quattro: le transizioni climatica e digitale, la sicurezza energetica e la difesa. La rispondenza agli obiettivi UE degli investimenti proposti dai singoli Paesi nei propri piani contribuiranno a migliorare il giudizio dell’Unione europea sui piani, sulle traiettorie di riferimento definite per l’aggiustamento fiscale e sulla possibilità di allungare da quattro a sette anni il periodo utile per realizzare il “piano di rientro” su debito e deficit. Gli Stati membri potranno infatti chiedere un allungamento del periodo di adeguamento fiscale dai quattro anni ordinari fino a un massimo di sette, a condizione che effettuino riforme strutturali e investimenti capaci di rafforzare la resilienza e il potenziale di crescita, garantire la sostenibilità fiscale, affrontare le priorità comuni definite dalla UE.

I pilastri della proposta di riforma presentata dalla commissione sono sostanzialmente rimasti inalterati con l’intesa di venerdì. “Le nuove regole – ha detto il negoziatore dell’intesa per il Consiglio UE, il ministro delle Finanze del Belgio presidente di turno, Vincent Van Peteghem – migliorano in modo significativo l’impianto esistente e assicurano norme effettive e applicabili per tutti i Paesi della UE. Saranno salvaguardati l’equilibrio e la sostenibilità delle finanze pubbliche, rafforzato il focus sulle riforme strutturali, incentivati gli investimenti, la crescita, la creazione di lavoro. Un accordo equilibrato che consentirà ora una rapida implementazione”.

In particolare, la graduale riduzione del debito (1% annuo per i Paesi che superano il 90% del PIL e 0,5% per quelli che si trovano fra 60 e 90% del PIL) e il limite del deficit al 3% sono regole che dovranno essere conciliate con la crescita e con la protezione delle riforme e degli investimenti nei settori strategici individuati. Almeno dalle dichiarazioni, l’obiettivo è di creare un spazio adeguato per politiche  anticicliche e per affrontare gli squilibri macroeconomici.

Resta l’obbligo per ciascuno Stato membro che presenti squilibrio nei conti pubblici (oltre il 60% di debito/PIL o il 3% di deficit/PIL) di presentare un piano strutturale fiscale nazionale a medio termine mentre la commissione elaborerà una “traiettoria di riferimento” (precedentemente definita “traiettoria tecnica”) che gli Stati membri dovranno poi incorporare nei loro piani definendo in questo modo un percorso di aggiustamento fiscale, che avrà come obiettivi il rientro graduale da debito, il mantenimento del deficit sotto il 3% e una progressiva riduzione della spesa netta. I piani passeranno poi all’approvazione del Consiglio.

Se la riforma sarà formalizzata prima della fine della legislatura europea, a giugno l’attuale commissione in carica consegnerà le traiettorie tecniche agli Stati membri. I Paesi dovranno poi trasmettere entro il 20 settembre i piani pluriennali di spesa che saranno valutati dalla nuova commissione, se non ci saranno ritardi nella composizione del nuovo esecutivo e nel voto “di fiducia” del Parlamento (previsto per la seconda metà di settembre).