Nella prima metà del ‘900, sebbene passando attraverso due guerre, la dimensione media dei nuclei familiari era rimasta sostanzialmente stabile, dai 4,5 componenti per famiglia di inizio secolo si era ridotta ai 4 componenti del 1951.
È nella seconda metà del ‘900, infatti, con l’affermazione della società industriale, che la dimensione dei nuclei familiari inizia a ridursi in maniera più significativa. È vero, in una prima fase il boom economico degli anni ’60 porta con sé un forte incremento delle nascite (baby-boom), ma con l’inurbamento e la progressiva scomparsa della famiglia allargata (che oltre al nucleo primario includeva nonni, zii, nipoti e a volte anche altre figure non consanguinee), tipica della società contadina, la dimensione media delle famiglie ha continuato a ridursi, passando dai 4 componenti del 1951, ai 3,6 del 1961, ai 3,3 del 1971.
Al boom demografico degli anni ’60 fece seguito una fase di repentino calo della natalità, e, passando dai 2,7 figli per donna del 1964 agli 1,25 del 2001, la riduzione della dimensione media dei nuclei familiari trova immediata spiegazione in una sempre minore presenza di figli nelle famiglie. L’aumento del livello di istruzione e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro hanno determinato un profondo cambiamento nelle priorità di vita, con un maggiore focus sulla carriera rispetto alla maternità e, ritardando l’ingresso alla vita riproduttiva, il numero di figli si è ridotto. La progressiva diversificazione delle strutture familiari, inoltre, con l’aumento delle famiglie monogenitoriali, spesso reduci da separazioni e divorzi, delle coppie senza figli, e delle famiglie monocomponente, ha determinato una ulteriore riduzione della dimensione media dei nuclei familiari, giungendo ai 2,6 componenti del 2001.
Grafico 1. Serie storica delle separazioni e incidenza sul numero di famiglie complessive
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Il primo decennio degli anni 2000 vede emergere un fenomeno peculiare, le consistenti generazioni nate durante il boom demografico degli anni ’60 raggiungono progressivamente l’età della fuoriuscita dalle famiglie d’origine (20-30 anni), determinando un forte incremento del numero di famiglie (+12,8%). Anche in questo caso, però, nonostante il lieve recupero di natalità, che giunge al picco di 1,44 figli per donna nel 2008, l’associazione con altri fenomeni, tra cui, le crescenti quote di giovani che scelgono di vivere da soli, l’invecchiamento della struttura demografica e l’aumento di separazioni e divorzi, determina un’ulteriore riduzione della dimensione media del nucleo familiare, che tocca, a fine 2011, un valore di 2,4 componenti.
Nel corso dell’ultimo decennio, nonostante il deterioramento del bilancio naturale (meno nascite e più morti) abbia portato il conto della popolazione in negativo (-0,7%), la dimensione media della famiglia si è ulteriormente ridotta, giungendo ai 2,2 componenti nel 2022, ed il numero complessivo delle famiglie ha registrato ancora una forte crescita (+7,3%).
Grafico 2. Variazione percentuale tra 2009 e 2022 di alcune tipologie di famiglie
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Analizzando l’evoluzione strutturale delle famiglie nell’ultima fase storica (2009-2022) è possibile delineare meglio il fenomeno, traendo indicazioni utili a definire possibili scenari evolutivi. Si osserva, infatti, che non tutti i fattori che hanno contribuito a ridurre la dimensione dei nuclei familiari comportano un aumento del numero di famiglie. L’aumento delle famiglie composte da anziani soli (+26,9%), in gran parte costituite da sopravviventi al coniuge, in forte aumento grazie ai fenomeni di invecchiamento della struttura demografica, non contribuisce ad incrementare il bilancio complessivo delle famiglie.
Contribuisce invece il crescente numero di giovani che abbandonano la famiglia di origine rimanendo single (+20,8%), il crescente numero di famiglie monogenitoriali (+30,2%), in gran parte costituitesi a seguito di separazione o divorzio, l’aumento delle coppie senza figli (+2,8%).
In sintesi, la riduzione della dimensione media delle famiglie può essere ricondotta a due distinte fenomenologie: la prima, direttamente determinata da intensi fenomeni di declino demografico, che interessa principalmente i territori marginali e in spopolamento; la seconda, maggiormente condizionata da fattori economici e socio-culturali, si focalizza in ambito urbano.
Tabella 1. La dimensione media delle prime venti città italiane per numero di famiglie al 31/12/2022
Famiglie | Numero medio di componenti | |
Roma | 1.341.918 | 2,0 |
Milano | 730.559 | 1,8 |
Torino | 435.612 | 1,9 |
Napoli | 377.595 | 2,4 |
Genova | 290.458 | 1,9 |
Palermo | 265.679 | 2,4 |
Bologna | 209.795 | 1,8 |
Firenze | 187.383 | 1,9 |
Bari | 141.183 | 2,2 |
Catania | 133.735 | 2,2 |
Venezia | 126.009 | 2,0 |
Verona | 124.636 | 2,0 |
Trieste | 105.691 | 1,9 |
Padova | 103.427 | 2,0 |
Messina | 99.702 | 2,2 |
Brescia | 95.820 | 2,0 |
Parma | 93.605 | 2,1 |
Modena | 85.134 | 2,1 |
Taranto | 84.307 | 2,2 |
Prato | 82.383 | 2,4 |
Valore medio nazionale | 3.340 | 2,2 |
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Tra le prime venti città italiane per numero di famiglie residenti, infatti, tredici sono caratterizzate da una dimensione dei nuclei familiari inferiore al valore medio nazionale, tra cui Milano e Bologna, con un valore di 1,8 componenti, Torino, Genova, Firenze e Trieste, con 1,9 componenti. Nelle realtà urbane principali ed economicamente più attrattive, soprattutto per le fasce giovanili, l’instabilità occupazionale e la crescente necessità di mobilità lavorativa, associata ad un costo della vita più elevato, in particolare per l’alloggio, influisce in maniera decisiva sulla possibilità di fare progetti a lungo termine e sulla decisione di avere dei figli.
Per altro verso, la mappa dei comuni italiani per dimensione media dei nuclei familiari, pone in evidenza le aree principalmente caratterizzate da fenomeni di declino e spopolamento. Le aree interne della Liguria, i comuni della fascia alpina occidentale ed orientale e la fascia appenninica centro-meridionale. Qui, la riduzione del numero medio di componenti, che in alcuni casi giunge a sfiorare il singolo individuo, si associa ad una elevatissima presenza di famiglie composte da anziani soli, ultimo presidio prima del completo abbandono.
Grafico 3. Numero medio componenti per famiglia nei comuni italiani al 23/12/2022
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
In definitiva, ponendo l’accento sulle dinamiche dell’economia di mercato, la contrazione nella dimensione media delle famiglie sembra innescare un effetto paradossale: mentre la popolazione complessiva diminuisce, l’aumento del numero di nuclei familiari indipendenti, ognuno con le proprie specificità di consumo, alimenta un’espansione nella domanda totale di beni e servizi. Questo fenomeno suggerisce che, nonostante il calo demografico, i consumi possono effettivamente crescere, spinti da una maggiore frammentazione delle unità familiari che amplifica la necessità di prodotti e servizi individualizzati.
Tuttavia, osservando la situazione attraverso una lente demografica, emergono preoccupazioni di natura differente.
La riduzione del numero di componenti per famiglia non solo segnala un invecchiamento progressivo della popolazione, ma anche una diminuzione proporzionale della forza lavoro. Queste dinamiche pongono in risalto un dilemma di sostenibilità: con meno giovani a supportare un numero crescente di anziani, si rischia di erodere le basi finanziarie dei sistemi di welfare, sollevando interrogativi sulla capacità delle società di mantenere livelli adeguati di assistenza e servizi nel lungo termine. In sintesi, se da un lato l’evoluzione delle strutture familiari può stimolare temporaneamente l’economia attraverso un incremento dei consumi, dall’altro porta con sé sfide demografiche che prefigurano uno scenario di potenziale insostenibilità.