www.cresmedaily.it - Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

Per gli appalti di lavori pubblici la svolta è la revisione prezzi “modello francese”: dal costo dell’opera-tipo si passa a 21 lavorazioni indicizzate. Eccole.

Si cambia: doppia svolta per gli appalti di lavori pubblici. La prima è la reintroduzione della revisione prezzi, abbandonata nel 1994 con la legge Merloni (anche per i molti eccessi che si erano verificati nella sua applicazione) e mai reintrodotta in chiave ordinaria e sistematica: ci ha pensato ora l'articolo 60 del codice 36. Il rodaggio era stato fatto, in realtà, con la normativa straordinaria sulle compensazioni degli extracosti degli anni 2021 e 2022 per le opere del PNRR e non. Ma non era revisione prezzi, era un'applicazione una tantum. La seconda svolta è molto più significativa e dà il senso all'intera operazione. Si tratta del passaggio al "modello francese": si passa dal vecchio modello applicato sulla base degli indici ISTAT relativi ad alcune tipologie di opere (tronco stradale in galleria, edificio residenziale, eccetera) a un ventaglio di 21 "tipologie omogenee di lavorazioni" che molto meglio possono rappresentare il complesso del mondo dei lavori pubblici. La tabella con le 21 lavorazioni che saranno indicizzate è qui disponibile per tutti i lettori dopo che nei giorni scorsi il Diario dei nuovi appalti l'aveva anticipata per primo. Ma perché è decisiva l'adozione del modello francese?

Perché l’adozione del modello francese – scelta compiuta dal tavolo al ministero delle Infrastrutture coordinato dal viceministro Edoardo Rixi – dimostra che finalmente il sistema, tutto il sistema, pubbliche amministrazioni, stazioni appaltanti, imprese e politica, ha capito a fondo l’importanza di un istituto che in modo trasparente e in tempo quasi reale (mensilmente o trimestralmente) adegua per l’80% il prezzo dell’opera alle variazioni di costi intercorsi. Il 20% resta un’alea di rischio a carico dell’impresa. Ovviamente alla base dell’adeguamento devono esserci condizioni oggettive.

Con il vecchio modello fondato sull’adeguamento del costo per un numero limitato di opere-tipo, niente affatto rappresentativo dell’intero mondo dei lavori pubblici, la revisione prezzi era considerata, in sostanza, una sorta di regalo all’appaltatore per evitare che pagasse un prezzo eccessivamente alto in periodi di inflazione elevata. Un salvagente per le imprese, non una misura sistematica e giusta da applicare con coerenza a ogni tipo di lavorazione, in maniera pulita e neutra, riducendo al massimo la discrezionalità amministrativa della stazione appaltante.

Questo fa invece il modello francese sposato dalla legislazione italiana. E che la strada al modello francese l’avesse aperta proprio il codice 36 nell’indicazione del principio, per quanto incompleto, è confermato dal fatto che la revisione prezzi si applicherà verso l’alto e verso il basso, in caso di aumento ma anche di riduzione dei costi dell’opera. Si azzera la possibilità per l’impresa di lucrare sulle variazioni di costo, così come si evita di caricargli addosso oneri impropri non dovuti alla sua responsabilità.

L’ulteriore passaggio per capire il cambiamento culturale sta proprio nella scelta delle 21 lavorazioni che consentiranno di mappare in sostanza tutta l’attività compresa in un appalto di lavori (sono fuori alcune lavorazioni specialistiche per cui andrà adottata una soluzione).

Ogni opera sarà composta da alcune di queste lavorazioni, secondo un peso nel quadro economico che spetterà al progettista (e a chi altri sennò?) individuare. L’indice di variazione del costo dell’opera sarà solo per quell’opera, perfettamente ritagliato tenendo insieme la composizione più adatta delle lavorazioni.

Il lavoro non è finito ma le svelte di questi mesi, di queste settimane e di questi ultimi giorni sono davvero importanti. C’è da lavorare per far diventare questi 21 titoli delle declaratorie complete. Ma stiamo vivendo un passaggio che davvero potrebbe farci entrare nell’età adulta dei lavori pubblici, dal lato delle imprese e da quello delle stazioni appaltanti. Potrebbe partire da qui la fine di quel modello di opera pubblica fondato sull’aumento dei costi e sulla dilatazione dei tempi che il CRESME per primo aveva denunciato.