La recente pubblicazione da parte dell’ISTAT del dato sulle nascite ha fatto molto discutere, rinnovando l’allarme sulla crisi di natalità. I 393.333 nati nel corso del 2022, infatti, segnano un nuovo record negativo, con una contrazione del -1,7% rispetto all’anno precedente, ma osservando la serie storica si evidenzia che l’andamento delle nascite è in costante calo fin dal 2008, con una perdita complessiva nell’intero periodo che giunge al 31,8%.
All’origine del fenomeno c’è sicuramente un dato strutturale, il processo di invecchiamento della composizione per età della popolazione italiana, che già dai primi anni ’90 sta determinando una sempre più marcata riduzione del numero di donne in età fertile.
Grafico 2. Numero di donne in età fertile in Italia (15-49 anni – valori in migliaia)
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Oltre alla consistente riduzione in valore assoluto del numero di donne in età compresa tra 15 e 49 anni, infatti, passate dai 14,36 milioni del 1991 agli 11,65 attuali, si è progressivamente modificata la sua articolazione interna, con la riduzione della componente più giovane (e più feconda) e l’aumento di quella in età matura, che in gran parte ha già concluso il suo ciclo riproduttivo.
Grafico 3. Composizione per classe di età quinquennale della popolazione femminile in età fertile
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
La riduzione del numero di donne in età fertile ed il processo di invecchiamento della composizione interna, tuttavia, sono fenomeni in atto fin dall’inizio degli anni ’90, come si spiega allora l’aumento delle nascite registrato tra il 1995 ed il 2008? All’origine del fenomeno c’è un consistente aumento della fecondità della popolazione femminile, testimoniata da un numero medio di figli per donna cha passa da 1,19 a 1,44.
Grafico 4. Serie storica del tasso di fecondità totale (numero medio di figli per donna)
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Sicuramente l’afflusso di popolazione straniera, che nel decennio a cavallo del nuovo millennio ha raggiunto livelli record, spiega in parte la ripresa di natalità, ma l’analisi dei coefficienti di natalità per età della madre offre ulteriori elementi di riflessione. Valutando la distribuzione del 2008 in rapporto a quella del 1995, infatti, appare evidente che l’aumento del numero di nascite ha interessato solo le classi in età più avanzata, dai trent’anni in su. L’osservazione testimonia il recupero di natalità da parte delle consistenti generazioni nate nel boom demografico degli anni ’60, che dopo aver completato gli studi e trovato una occupazione, tra la seconda metà degli anni ’90 ed il primo quinquennio degli anni 2000, abbandonano la famiglia d’origine per crearne una propria, determinando un mini boom nella dinamica delle nascite, e una vera e propria esplosione della domanda di abitazioni sul mercato immobiliare.
Grafico 5. Coefficienti specifici di fecondità per età della madre (Valori x 1000 donne)
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT
Valutando la curva di natalità del 2022 in rapporto a quella del 2008, si osserva altresì che nella fase più recente il calo di fecondità è stato determinato dalla consistente riduzione delle nascite nelle classi di età più giovane, dai trent’anni in giù, mentre è rimasto sostanzialmente invariato nelle classi in età matura. In definitiva, possiamo ritenere che la crisi economica ed occupazionale, colpendo in maniera più incisiva le fasce più giovani, contrattualmente meno tutelate ed in difficoltà nel compimento di un percorso di inserimento lavorativo, abbia contribuito in maniera non trascurabile ad aggravare uno scenario demografico che per fattori strutturali risultava di per sé già problematico.
Ne scaturisce che interventi di incentivazione della natalità incentrati sui bonus una-tantum hanno una efficacia assai modesta, in un contesto socio-economico che penalizza i giovani, con disoccupazione giovanile al 22,6% (15-24 anni IV trim. 2023), precarietà occupazionale ampiamente diffusa nelle classi giovanili (il 39% dei contratti a termine interessa giovani nella fascia 15-29 anni, 1,156 milioni su 2,972) e servizi pubblici di sostegno alla maternità (asili nido, ecc.) ampiamente insufficienti e carenti.