www.cresmedaily.it - Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

Newsletter di economia del CRESME a cura di Giorgio Santilli

L’industria italiana paga i costi energetici più alti fra i grandi paesi dell’area euro (e il fisco peggiora le cose). Ma cresce l’efficienza energetica

Le vicende più recenti hanno evidenziato quanto il fattore energia sia divenuto centrale nella definizione dei livelli di competitività di imprese e territori. Strategie di investimento mirate a ottimizzare l’utilizzo delle risorse e ridurre gli sprechi sono poste oggi al centro dell’agenda politica.

Si fa sempre più strada, quindi, la consapevolezza che le politiche energetiche e le strategie di investimento debbano essere orientate non solo alla sostenibilità ambientale ma anche alla creazione di valore economico e sociale, favorendo un modello di sviluppo che sia competitivo e resiliente.

Il costo dell’energia – Quanto detto vale a maggior ragione in un contesto internazionale in cui il costo dell’energia è fortemente disomogeneo; politiche energetiche sbagliate, scarsa diversificazione, dipendenza da produttori esteri e servizi di fornitura poco trasparenti hanno determinato le forti divergenze che osserviamo oggi.

Nell’ultimo biennio, se si guarda il costo medio dell’energia elettrica per usi produttivi, l’Italia si è collocata su un livello nettamente superiore agli altri grandi paesi dell’area euro; nel 2022, il prezzo medio per kwh è stato superiore a 35 centesimi di euro, quasi dieci centesimi in più di quanto le attività produttive hanno pagato in Spagna e in Germania, venti centesimi in più rispetto alle imprese francesi. Le cose non cambiano, nella sostanza, se dal computo si escludono IVA e accise, sebbene la distanza tra l’Italia e i suoi partner europei si riduca. Anche nella media del 2023, passato il periodo dell’impennata dei corsi energetici, il costo dell’energia nel nostro Paese si è confermato il più elevato (29 centesimi per kwh).

Questa differenza tra l’Italia e gli altri paesi può essere attribuita a diversi fattori, tra cui una maggiore dipendenza dalle importazioni di gas, infrastrutture energetiche meno efficienti e una minore diversificazione delle fonti. Anche le politiche energetiche nazionali hanno avuto un impatto; in Italia, la pressione fiscale e le accise tendono a essere più elevate, mentre gli incentivi per le rinnovabili, pur essendo necessari per migliorare la sostenibilità del sistema produttivo, incidono sulle dinamiche dei prezzi a breve termine.

Impatto sull’attività manifatturiera – Le dinamiche “estreme” del costo dell’energia osservate nell’ultimo biennio hanno avuto un impatto sul settore manifatturiero e sull’economia dei singoli paesi. Germania, Italia, Francia e Spagna possiedono un sistema produttivo fortemente incentrato sull’industria, con molte imprese orientate all’export e impegnate a mantenere o aumentare la propria presenza sui mercati internazionali. Considerando l’insieme della attività produttive industriali, escludendo il settore della raffinazione petrolifera e includendo il settore delle costruzioni, tra 2021 e 2022 l’incidenza dei costi energetici sull’output lordo è aumentata rapidamente in tutti i paesi. L’Italia, tuttavia, è il paese che ha visto crescere maggiormente il peso della componente energetica, che è passato dal 3,3% del valore della produzione nel 2021 al 4,1% nel 2022. In sostanza, numeri alla mano, nella media del 2022 le imprese italiane hanno sostenuto i costi energetici più elevati, più delle imprese tedesche, che misurano un’incidenza del 3,7%, e molto più di quelle francesi (incidenza del 3,3%).

Incidenza dei costi energetici sull’output manifatturiero*

Fonte: Stime Cresme su dati Eurostat (*tutta la manifattura tranne: 19-Coke e prodotti raffinati, 33-Riparazione e installazione; Include Costruzioni)

Nei mercati internazionali, dove le imprese competono sui costi e sui prezzi, l’aumento dell’onere energetico erode la competitività delle esportazioni. L’aumento dei prezzi ha anche un effetto a cascata lungo le catene di fornitura, impattando indirettamente sui costi intermedi; i fornitori di componenti e materie prime, a fronte della crescita dei costi energetici, aumentano i prezzi, e questi aumenti si trasferiscono ai produttori finali attraverso le catene di valore. Per preservare l’appetibilità delle proprie merci molte imprese esportatrici hanno cercato di assorbire parte dell’aumento dei costi – diretti o indiretti – riducendo i margini di profitto. Si tratta però di una strategia insostenibile nel medio termine; l’aumento dei costi energetici contribuisce, quindi, a spiegare parte della crescita dei prezzi all’export osservata tra 2022 e 2023 (si veda la figura sottostante).

Andamento dei prezzi all’export dei prodotti manifatturieri

Fonte: Stime Cresme su dati Eurostat

La produttività energetica – Il dato aggregato sull’incidenza dei costi energetici è influenzato dalla struttura del settore manifatturiero dei singoli paesi, che può essere più o meno incentrata sulle produzioni più energivore. La Germania, ad esempio, possiede un’industria pesante significativa, inclusi i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automobile, eppure mostra un’incidenza relativamente contenuta dei costi energetici (inferiore a Italia e Spagna); questo suggerisce che i produttori tedeschi, almeno nel confronto con quelli dei principali partner europei, possano contare su una maggiore efficienza e/o su una maggiore diversificazione delle fonti. Indicazioni al riguardo arrivano dall’analisi della “produttività energetica”, ovvero, dal rapporto tra valore aggiunto e consumi energetici. Non sorprende che le imprese tedesche, sia nella media 2019-2021 sia nel 2022, mostrino, tra i paesi considerati, il livello di produttività più elevato. Da osservare, però, come l’Italia si collochi al secondo posto tra i quattro grandi paesi dell’area euro, sia nella media storica, con circa 12,2 euro per kg di petrolio equivalente, sia nella media del complicato 2022 (13,7 euro).

Produttività energetica nel settore manifatturiero *(valore aggiunto in euro a valori costanti 2015/consumi energetici annui)

Fonte: Stime Cresme su dati Eurostat (*tutta la manifattura tranne: 19-Coke e prodotti raffinati, 33-Riparazione e installazione; Include Costruzioni)

Va detto che se si guarda alle dinamiche storiche della produttività energetica, l’Italia ha mostrato interessanti tendenze positive, registrando un miglioramento costante almeno fino al 2019 – progressi poi interrotti durante il biennio pandemico ma proseguiti, nonostante la crescita dei costi dell’energia, nel corso del 2022. Si tratta di dinamiche simili a quelle che hanno caratterizzato gli altri paesi europei, ma che in Italia hanno registrato cifre più eclatanti.

Crescita della produttività energetica nel settore manifatturiero* (2014=100, media biennale, valore aggiunto in euro a valori costanti 2015/consumi energetici annui)

Fonte: Stime Cresme su dati Eurostat (*tutta la manifattura tranne: 19-Coke e prodotti raffinati, 33-Riparazione e installazione; Include Costruzioni)

Una parte delle tendenze osservate è probabilmente legata alle caratteristiche del sistema delle imprese considerato; i dati sui consumi forniti da Eurostat, infatti, includono anche le imprese di costruzioni. L’impennata della produttività energetica osservata in Italia nel 2022 deve essere quindi letta anche alla luce della crescita eccezionale sperimentata dall’edilizia che, proprio in quell’anno, ha beneficiato dell’esplosione della domanda di riqualificazione energetica alimentata dagli incentivi e dalla possibilità di cessione del credito (l’attività edilizia è caratterizzata da una minore incidenza dei costi energetici diretti). Questo non toglie che una tendenza di crescita dei livelli di produttività fosse già presente prima della crisi sanitaria.

Conclusioni – Le recenti dinamiche del costo dell’energia hanno evidenziato la centralità della gestione energetica nel determinare la competitività economica delle imprese. Analizzando i casi di Germania, Italia, Francia e Spagna, emerge chiaramente come l’efficienza energetica e la diversificazione delle fonti siano cruciali per sostenere la crescita economica e migliorare la resilienza delle industrie e dei territori. Le imprese che investono in tecnologie energeticamente efficienti possono ridurre i costi operativi, migliorando i margini di profitto e mantenendo prezzi competitivi sui mercati internazionali.

La Germania, ad esempio, anche grazie a una relativamente elevata produttività energetica, è riuscita a mitigare l’aumento dell’incidenza dei costi energetici nonostante la presenza di settori altamente energivori. Tra i principali paesi europei, l’Italia è invece quello che misura il costo più elevato dell’energia a fini produttivi; tra il 2021 e il 2022 l’incidenza dei costi energetici sull’output manifatturiero del nostro paese è quindi cresciuta rapidamente. Tendenze incoraggianti emergono tuttavia dall’analisi della dinamica della produttività energetica, sia nel periodo pre-covid, sia nel periodo successivo; si tratta di capire se queste tendenze si rafforzeranno nei prossimi anni, in un contesto di normalizzazione dello scenario internazionale e nazionale, o se si sarà trattato di un fenomeno contingente, legato, ad esempio, all’aumento del peso dell’edilizia sul valore aggiunto dell’industria in senso lato.

La speranza è che stia maturando, anche in Italia, la consapevolezza che la transizione verso un uso più efficiente dell’energia non solo contribuisca a ridurre le emissioni e a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ma consenta anche di migliorare la sostenibilità economica delle pratiche industriali. La diversificazione delle fonti e l’efficienza energetica sono infatti elementi imprescindibili per rendere le imprese meno vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi dell’energia e alle crisi globali, mentre la capacità di assorbire e adattarsi a questi shock esogeni è un elemento cruciale per migliorare la stabilità a lungo termine del nostro sistema socio-economico.

Antonio Mura

  Direttore Tecnico in Cresme Ricerche SPA Dottorato in matematica, con più di 15 anni di esperienza in analisi territoriale statistica con un focus sui modelli di geografia economica. È autore di diverse pubblicazioni scientifiche nel campo dell'analisi e modellizzazione statistica ed è autore di due libri sull'analisi stocastica e l'inferenza statistica basata sul disegno. Presso Cresme, è responsabile dei processi interni, della supervisione degli aspetti tecnici e metodologici e del coordinamento delle risorse interne. Con il ruolo di data scientist e ricercatore senior, ha acquisito una vasta esperienza nella progettazione e nello sviluppo di sistemi informativi. Ha progettato, gestito e sviluppato più di 100 ricerche con un focus sull'analisi econometrica e la previsione. Possiede una forte competenza nelle indagini campionarie (analisi preliminare, definizione di disegni campionari e algoritmi, pianificazione e supervisione del processo di raccolta dati, definizione di stimatori, risultati e rapporti di sintesi).