Tuttavia, invece di affrontare questi fenomeni con soluzioni emergenziali e conservative, come il prolungamento dell’età lavorativa o l’immigrazione selettiva di manodopera, si potrebbe cogliere l’occasione per ripensare in modo radicale il modello economico-produttivo. Se l’intelligenza artificiale e le macchine sono in grado di sostituire il lavoro umano in molti settori, si apre la possibilità di un futuro in cui la produzione non dipende più interamente dal lavoro delle persone. Questo scenario non deve necessariamente tradursi in precarietà e disoccupazione di massa, ma potrebbe essere la chiave per costruire una società in cui il lavoro non sia più il centro dell’esistenza e in cui la ricchezza generata dalle nuove tecnologie venga redistribuita in modo più equo.
Il paradosso demografico e la necessità di un nuovo modello
L’inverno demografico sta già trasformando il mercato del lavoro. Nei paesi avanzati, il numero di persone in età lavorativa è in calo costante: in Italia, la percentuale di over 65 è destinata a passare dal 25% attuale al 36% entro il 2050, riducendo drasticamente il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Questo implica che, senza un adeguato intervento, i sistemi di welfare diventeranno insostenibili.
Tradizionalmente, si risponde a questo problema attraverso tre strategie: l’immigrazione selettiva per rimpiazzare la forza lavoro mancante, l’aumento dell’età pensionabile per trattenere gli anziani al lavoro più a lungo, e l’incremento della produttività attraverso nuove tecnologie. Tuttavia, la terza soluzione, ovvero il potenziamento dell’automazione, porta con sé un ulteriore problema: riduce il numero di posti di lavoro disponibili.
Siamo dunque davanti a una contraddizione apparente: mentre la popolazione attiva diminuisce, la disoccupazione potrebbe restare alta a causa dell’automazione che elimina più posti di lavoro di quanti ne crei. Questo mette in crisi il sistema basato sulla piena occupazione come pilastro della stabilità economica, rendendo necessario un nuovo paradigma che non dipenda esclusivamente dal lavoro umano.
Automazione e fine del lavoro tradizionale: opportunità o minaccia?
Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 circa il 50% dei compiti lavorativi sarà svolto da macchine intelligenti. Le fabbriche sempre più automatizzate, i servizi digitalizzati e l’intelligenza artificiale generativa stanno già riducendo la necessità di lavoro umano in settori come la logistica, la produzione, il commercio e la finanza.
In passato, ogni rivoluzione industriale ha generato nuovi lavori per sostituire quelli persi. Ma oggi il ritmo del progresso tecnologico supera la capacità di riconversione dei lavoratori: le nuove professioni emergenti richiedono competenze digitali avanzate che non tutti possono acquisire in tempi brevi. Il risultato è che il valore economico si sposta sempre più dal lavoro al capitale, con una crescente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi.
Invece di vedere questa trasformazione come una minaccia, si potrebbe invece immaginare una società in cui il lavoro tradizionale diventi marginale e la produzione venga sostenuta principalmente dall’automazione. Ma perché questo scenario non si traduca in disuguaglianze estreme, è fondamentale ripensare la distribuzione della ricchezza generata dalle macchine.
Un nuovo modello economico: la produzione senza lavoro e la redistribuzione della ricchezza
Se la produzione è sempre più automatizzata, è necessario separare il concetto di reddito da quello di impiego. Ciò significa passare da un modello in cui il benessere è legato al lavoro a un modello in cui la ricchezza generata dalle macchine viene redistribuita in modo equo, permettendo alle persone di vivere dignitosamente anche senza un’occupazione tradizionale.
Un’idea chiave in questo contesto è il Reddito Universale di Base (UBI), una somma garantita a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro condizione lavorativa. Gli esperimenti condotti in Finlandia e Canada hanno mostrato che il reddito di base non solo riduce la povertà, ma incentiva anche la creatività e l’innovazione, poiché le persone si sentono più libere di avviare nuove attività senza la paura della precarietà.
Tuttavia, per finanziare un sistema di questo tipo occorre ripensare la fiscalità. Una soluzione potrebbe essere la tassazione sull’automazione, già proposta da Bill Gates, in cui le aziende che sostituiscono i lavoratori con macchine pagano un’imposta proporzionale ai profitti generati. Un’altra alternativa è la creazione di un fondo sovrano tecnologico, in cui i profitti delle aziende più automatizzate vengono redistribuiti sotto forma di dividendi ai cittadini.
Un altro modello possibile è quello della partecipazione ai profitti aziendali, che trasformerebbe i cittadini in azionisti dell’economia automatizzata, garantendo loro una quota delle rendite prodotte dalle macchine. Questo approccio consentirebbe di mantenere un’economia di mercato, ma con una distribuzione più equa delle risorse.
La società post-lavoro: un futuro possibile?
Se l’automazione riduce la necessità di lavorare, si potrebbe immaginare una società in cui il tempo libero diventa la nuova risorsa principale. L’essere umano non sarebbe più costretto a impiegare la maggior parte della sua vita nel lavoro, ma potrebbe dedicarsi alla formazione, alla creatività, alla ricerca e alle attività sociali. Un’economia incentrata non più sulla produttività individuale, ma sulla qualità della vita e sull’accesso equo alle risorse.
Questo modello solleva però delle domande cruciali. Il lavoro ha sempre avuto un ruolo identitario e sociale: cosa succederebbe in una società in cui la maggior parte delle persone non ha più un’occupazione tradizionale? Come garantire che questa trasformazione non si traduca in alienazione e perdita di scopo?
Le risposte a queste domande dipendono dalle scelte politiche e sociali che verranno fatte nei prossimi decenni. Se la tecnologia viene utilizzata esclusivamente per aumentare i profitti di pochi, il rischio è una società sempre più polarizzata tra una piccola élite ricca e una massa disoccupata e impoverita. Se invece viene adottato un modello di redistribuzione equa della ricchezza, l’automazione potrebbe essere la chiave per una società più equa, più libera e meno vincolata alle necessità del lavoro.
L’inverno demografico e l’avanzamento tecnologico non devono essere visti come problemi da risolvere con soluzioni emergenziali, ma come un’opportunità per ripensare l’intero sistema economico-produttivo. È tempo di immaginare un futuro in cui il benessere non dipenda più dalla quantità di lavoro svolto, ma dalla capacità di garantire a tutti l’accesso alle risorse generate dall’innovazione.