Una prima parte importante dello studio richiama, infatti, il lavoro del CRESME sulla situazione del patrimonio residenziale italiano, aggiornato nel 2022 su dati ISTAT e del sistema informativo CRESME/SI. Da questa stima si conferma la prevalenza delle unità immobiliare unifamiliari, oltre il 50%: 6.487.547 abitazioni sul totale di 12.539.173, come evidente dal grafico che pubblichiamo qui sotto. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica sta avviando la riflessione sul piano nazionale attuativo della direttiva, che deve essere scritto entro due anni, partendo da questa “conoscenza” del patrimonio esistente.
Grafico 1. Edifici residenziali per tipologia dimensionale del fabbricato al 2022
Fonte: stima CRESME su dati ISTAT e CRESME/SI 2022
L’altro aspetto di questa fotografia del patrimonio esistente che risulta rilevante anche ai fini dell’attuazione della EPBD è la vetustà del nostro patrimonio abitativo, con 3.396.987 unità abitative precedenti agli anni’60, quindi con oltre 63 anni di anzianità, 4.857.894 abitazioni costruite negli anni ’60, quindi con più di 53 anni di anzianità, e altre 4.524.071 unità abitative realizzate negli anni ’70, con un’età superiore a 43 anni. Questi elementi saranno integrati nel rapporto che preparerà il MASE dai dati sui consumi e sulle classe energetiche.
Grafico 2. Suddivisione delle abitazioni per classi di età.
Fonte: stima CRESME su dati ISTAT e CRESME/SI 2022
Ma torniamo all’esercizio di valutazione degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi della direttiva sulla base dei tre scenari definiti dallo studio Symbola-CRESME.
Una prima ipotesi ha stimato il costo degli investimenti per intervenire sui 3,2 milioni di abitazioni che rappresentano il 15% del patrimonio con le peggiori performance energetiche, applicando agli investimenti i costi medi registrati negli interventi incentivati con Superbonus 110%. Il risultato di questa simulazione è che per completare l’intervento servirebbero 320 miliardi di euro.
Il secondo esercizio, come è evidente dalla tabella di apertura, si base sullo stesso percorso e sullo stessa simulazione sui 3,2 milioni di abitazioni con la peggiore performance energetica, ma stavolta anziché applicare i costi del Superbonus, inefficienti per numerosi fattori distorsivi, vengono applicati i costi di un mix di interventi più efficienti sul piano della performance energetica, come proposti da ENEA nell’ambito del PNIEC. Il costo degli investimenti in questo caso scenderebbe a 260 miliardi di euro.
Una terza stima era stata realizzata quando la direttiva chiedeva non un taglio tout court del 16% dei consumi al 2030 sugli edifici con le peggiori performance, come nella versione finale, ma un intervento di riduzione del fabbisogno con miglioramento di due classi energetiche sempre sul patrimonio con peggiori performance. Qui si è utilizzato il sistema Docet con cui Enea definisce interventi-tipo in chiave di efficienza energetica su alcune tipologie di unità immobiliari. Anche qui si interviene su 3,2 milioni di abitazioni con l’obiettivo però di portarle dalla classe energetica G alla classe E: il costo sarebbe di 145 miliardi che salgono a 170 se si aggiunge l’installazione di pannelli fotovoltaici a servizio di tutti gli appartamenti.
Lo studio è stato presentato ieri nella sede di Assimpredil ANCE dal presidente di Fondazione Symbola, Ermete Realacci, e dal direttore del CRESME, Lorenzo Bellicini.
“L’edilizia può dare un contributo importante per contrastare la crisi climatica e ridurre la nostra dipendenza dei combustibili fossili – ha detto Realacci – in particolare dal gas russo, resa drammatica dall’invasione dell’Ucraina. Puntare con intelligenza su case green e su edifici sostenibili abbassa le bollette per famiglie e imprese, aumenta il valore delle case, riduce la nostra dipendenza energetica, favorisce l’innovazione e la crescita di un settore strategico come l’edilizia, aumenta l’occupazione. L’edilizia orientata al green può produrre un made in Italy che punta su sostenibilità, innovazione, ricerca, e bellezza”.
“La sfida del cambiamento climatico si gioca sul piano dei comportamenti delle persone – ha spiegato Bellicini – e sulle risposte di efficienza tecnica che siamo in grado di sviluppare: il nostro patrimonio edilizio è caratterizzato da un lato da classi energetiche molto basse, ma allo stesso tempo da condizioni climatiche molto diverse. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi, non si potrà fare a meno di incentivi più contenuti di quelli degli ultimi anni e comunque di lunga durata, per dar modo alle imprese di programmare investimenti in grado di porre le costruzioni alla testa del processo di innovazione. Dovranno essere anche incentivi di cui si possano misurare gli effetti, anche qui per evitare gli errori passati”.