Proiettando le dinamiche attuali nei prossimi decenni il quadro si fa davvero preoccupante. Entro il 2040, l’Italia potrebbe perdere 2,9 milioni di abitanti, 2 milioni dei quali nel Mezzogiorno, che ridurrebbe ulteriormente il suo peso demografico rispetto al resto del Paese.
Indicatori demografici principali
Fonte: CRESME su dati ISTAT
Un Mezzogiorno sempre più anziano
Uno degli aspetti più critici del declino demografico è l’invecchiamento della popolazione. Il Mezzogiorno sta vivendo un’accelerazione in questo processo, con un numero crescente di anziani e un costante calo delle nascite. L’indice di vecchiaia – il numero di persone con più di 65 anni ogni 100 giovani sotto i 15 anni – ha raggiunto il valore di 179,8 nel 2023, ed anche se risulta ancora leggermente inferiore rispetto ai valori del Nord, l’incremento rispetto ai valori storici è allarmante, solo nel 2002 il rapporto era di 120 anziani ogni 100 giovani.
Se questa tendenza non verrà invertita, entro il 2050 oltre il 34,9% della popolazione meridionale sarà composta da over 65, rispetto al 28% attuale. Questo cambiamento avrà ripercussioni non solo sulla composizione sociale, ma anche sulla sostenibilità del welfare, con un peso crescente sulle casse pubbliche e una forza lavoro sempre più ridotta.
L’indice di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra popolazione over 65 e popolazione attiva, è già passato dal 28% nel 2001 al 36,5% nel 2023 e senza sostanziali mutazioni di rotta, potrebbe superare il 50% entro il 2050, rendendo sistema previdenziale insostenibile.
Il Ruolo degli Stranieri: Una Risorsa Sottovalutata?
In un contesto di calo demografico e invecchiamento della popolazione, il ruolo della popolazione straniera diventa cruciale. Se da un lato il Mezzogiorno ha visto l’arrivo di circa 650.000 stranieri dal 2001 a oggi, dall’altro ha visto una perdita di residenti italiani ancora più marcata. Nello stesso periodo, infatti, il Mezzogiorno ha registrato una diminuzione di circa 1,35 milioni di residenti italiani, portando a una perdita netta di 700.000 abitanti. Complessivamente, tra il 2002 e il 2023, oltre 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno, l’81% dei quali diretti nelle aree economicamente più dinamiche del Centro-Nord, e ed il 19% emigrati all’estero. Anche considerando i rientri, il saldo migratorio netto è stato negativo, con una perdita di 1,1 milioni di residenti.
Il Mezzogiorno, quindi, risulta poco attrattivo anche per gli stranieri. A livello nazionale, al primo gennaio 2024 la popolazione straniera residente ammontava a 5.308.000 persone, pari al 9% della popolazione complessiva. Nel Mezzogiorno, gli stranieri residenti erano 897.000, il 16,9% del totale nazionale, ma con un’incidenza di appena il 4,5% sulla popolazione complessiva. A confronto, il Nord Italia ospita 3.109.000 stranieri (58,6% del totale nazionale), con un’incidenza dell’11,3% sulla popolazione, mentre nel Centro risiedono 1.301.000 stranieri (24,5% del totale), con un’incidenza dell’11,1%.
A differenza del Nord e delle grandi città del Centro, dove gli stranieri rappresentano una parte significativa della popolazione attiva, nel Sud il loro impatto è ancora marginale. Uno dei motivi principali è la scarsa capacità del tessuto economico meridionale di offrire opportunità lavorative stabili. Molti immigrati che arrivano nel Mezzogiorno, infatti, lo considerano solo un punto di transito prima di trasferirsi in regioni più economicamente più attrattive o all’estero. Settori come l’agricoltura e l’edilizia continuano a dipendere dalla manodopera straniera, ma si tratta spesso di impieghi precari e poco retribuiti, che non favoriscono l’integrazione e la stabilizzazione della popolazione immigrata nel Sud. Inoltre, la mancanza di politiche di inclusione e il fenomeno del lavoro nero contribuiscono a rendere il Mezzogiorno una meta poco attrattiva per chi cerca migliori condizioni di vita.
Eppure, in uno scenario di rapido declino della popolazione autoctona, gli stranieri potrebbero rappresentare una risorsa importante per il rilancio demografico ed economico del Mezzogiorno. Se adeguatamente incentivata, la loro presenza potrebbe contribuire a riequilibrare la struttura demografica e a garantire nuova linfa al mercato del lavoro. Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario un cambio di prospettiva che favorisca politiche di inclusione, regolarizzazione e valorizzazione delle competenze.
Le Cause del Declino: Tra Bassa Natalità ed Emigrazione
Oltre alla scarsa attrattività per gli stranieri, il Mezzogiorno soffre di una persistente crisi della natalità. Nel 2023, il tasso di fecondità totale nel Sud Italia è sceso a 1,24 figli per donna, notevolmente al di sotto della soglia di sostituzione generazionale di 2,1 figli per donna, evidenziando situazioni particolarmente critiche in alcune regioni come la Sardegna, dove si è toccato un minimo storico di 0,91 figli per donna.
Nel corso di qualche decennio, quindi, il Mezzogiorno ha perso il primato di area più prolifica d’Italia, con tassi di natalità nettamente superiori rispetto al resto del Paese. Nel 1995 il tasso di fecondità nel Mezzogiorno si attestava a 1,43 figli per donna, mentre nel Nord era di 1,06 figli per donna.
Il Mezzogiorno ha dunque perso il suo storico vantaggio demografico, allineandosi ai bassi livelli di natalità del resto del Paese. A pesare su questa trasformazione sono la continua emigrazione giovanile, la precarietà economica, la cronica carenza di servizi di supporto alla genitorialità e la mancanza di politiche a sostegno della natalità, fattori che hanno contribuito a un drastico calo delle nascite e a un generale invecchiamento della popolazione.
Un Mezzogiorno a Rischio di Declino Economico
La crisi demografica del Sud è strettamente legata alla stagnazione economica e all’assenza di opportunità lavorative. Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno è nettamente inferiore rispetto al resto del Paese: nel 2023 si attestava al 48,2%, mentre nel Nord raggiungeva il 69,4%. Ancora più preoccupante è il tasso di disoccupazione giovanile, che nel Sud ha toccato il 38,1%, contro il 15,8% del Nord.
Anche il divario nel PIL pro capite resta elevato, nel 2023 il valore per il Mezzogiorno era di 19.821 euro, contro i 36.904 euro del Nord.
La povertà è un altro problema cronico: il 33,7% della popolazione meridionale è a rischio di esclusione sociale, una percentuale nettamente superiore al 9,9% del Nord.
Indicatori economici principali
Fonte: CRESME su dati ISTAT
Quale futuro per il Mezzogiorno?
Se queste tendenze non verranno invertite, il Mezzogiorno rischia di subire un ulteriore spopolamento, molte aree interne sono già oggi semi-deserte, e interi borghi rischiano di scomparire. L’invecchiamento della popolazione porterà a un aumento del carico sociale, con una spesa crescente per pensioni e sanità e sempre meno risorse disponibili per lo sviluppo.
Per affrontare il declino demografico, si dovrebbe definire una strategia multidimensionale per il Mezzogiorno. Incentivare la natalità con politiche di sostegno alle famiglie è fondamentale, così come favorire il rientro dei giovani emigrati offrendo migliori opportunità di lavoro. Anche la riduzione del divario economico rispetto al Nord richiede investimenti mirati in infrastrutture e incentivi alle imprese.
Un ruolo cruciale potrebbe essere giocato dagli stranieri, che potrebbero contribuire a riequilibrare la struttura demografica e a rafforzare il mercato del lavoro. Tuttavia, affinché questo accada, è necessario un cambiamento nelle politiche migratorie e di inclusione, che permetta alla popolazione immigrata di stabilizzarsi e contribuire alla ripresa del Sud.
Solo attraverso un piano strategico e di lungo periodo il Mezzogiorno potrà arrestare il declino e tornare a essere un motore di crescita per l’intero Paese.