Chiusi il 2023 e i primissimi mesi del 2024 con un mercato delle costruzioni in flessione ma con valori contenuti sugli alti livelli raggiunti nel 2022, i prossimi mesi del 2024 e il 2025 segneranno una più decisa inversione di ciclo pur frutto di una doppia tensione: da un lato la forte caduta della riqualificazione edilizia (-26,5% nel 2024), dall’altro l’ingresso nella fase realizzativa di una eccezionale quantità di opere pubbliche. L’eccezionale crescita delle opere pubbliche non compensa la caduta della riqualificazione, ma determina diversi scenari per l’offerta. La flessione degli investimenti complessivi si arresterà nel 2025 grazie alla riduzione della caduta della riqualificazione e alla accelerazione della spesa nelle opere pubbliche, situazione che proseguirà nel 2026. Nuovi problemi arriveranno dal 2027 e dal 2028, con l’esaurimento della spinta del PNRR e l’entrata in vigore della nuova stagione degli ‘incentivi’ tradizionali ribassati.
La dimensione della contrazione della riqualificazione è la questione oggi sul tappeto e sono sufficienti due numeri per spiegarla: prima di superbonus e bonus facciate, tra 2023 e 2019, il mercato degli interventi incentivati in riqualificazione edilizia e energetica valeva annualmente 28 miliardi di euro correnti all’anno; nel 2024 si è arrivati a quasi 95 miliardi e nel 2023 a quasi 84 miliardi. È evidente che, finiti i super-incentivi, se va bene si tornerà ai livelli del 2019, sempre che le condizioni rimangono quelle di allora. Altrimenti bisognerà fare altri conti, come sembra necessario fare.
Le opere pubbliche hanno visto aggiudicati 50 miliardi di lavori nel 2021, 59 nel 2022 e 91 nel 2023, numeri eccezionali, anche in questo caso, rispetto ai 15 miliardi di lavori all’anno aggiudicati mediamente dal 2012 al 2019. Qui la partita da un lato è certamente realizzativa, dato che la metà delle aggiudicazioni del 2023 e un terzo di quelle del 2022, ha a che fare con il PNRR e si dovrebbero chiudere entro il 2026 (o 2027 se ci sarà la proroga). Saremo in grado? E cosa succederà se le criticità realizzative prevalessero con i contratti in essere? Inoltre cominciano a manifestarsi primi segnali negativi riguardanti i flussi di cassa che sembrano essere molto meno fluidi di prima. Con tutto quello che questo può significare.
È facile anche prevedere come il contenzioso sarà uno dei temi centrali per i prossimi due tre anni, sia sul piano dei superbonus che delle opere pubbliche.
Inoltre le costruzioni con i superbonus sono diventate l’orco cattivo dell’economia italiana, quando si può dimostrare che la quota degli investimenti incentivati andati alle imprese di costruzioni si possono stimare tra il 20 e il 25% del totale, il resto è andato a industria, commercio, progettisti e piattaforme tecnologiche, banche e intermediari finanziari, e IVA, IRPEF e Oneri Sociali. Insomma a tutta l’economia.
Nel frattempo in Europa è stata approvata la direttiva “Case green”, con il voto negativo di Italia e Ungheria, e ora abbiamo due anni per definire come raggiungere gli obiettivi che l’Europa pone. Si tratta di obiettivi performanti che richiedono una nuova stagione di investimenti e rispetto ai quali sarà utile riflettere visto che il valore dell’investimento per raggiungere il 16% di riduzione dei consumi (prima fase obiettivo) richiederebbe dai 160 ai 320 miliardi di euro.
Il Paese intanto si confronta con un contesto internazionale difficilissimo e con previsioni economiche che, a differenza del passato, cominciano ad essere molto diverse tra i vari previsori: per FMI nel 2025 il PIL dell’Italia dovrebbe crescere solo dello 0,2%. Del resto il problema del debito sembra tornare al primo posto riducendo a capacità di spesa pubblica, in attesa del giudizio dell’Europa che potrebbe rendere lo scenario più difficile.
Questi e molti altri temi saranno affrontati nel XXXVI Rapporto Congiunturale e Previsionale CRESME, che si terrà via web il 27 giugno.